Microsoft, “chatbot” per simulare conversazione con un defunto

Microsoft deposita il brevetto per un chatbot che simula una conversazione con una persona cara defunta

E se il superamento del lutto ed i processi che lo caratterizzano un giorno divenissero superflui, cosa accadrebbe?

Se qualcuno improvvisamente pensasse che l’illusione stessa di parlare con un proprio caro defunto possa rivelarsi sufficiente ad andare avanti, cosa accadrebbe?

È complesso dare una risposta univoca, sicuramente nulla di buono. Sempre più lentamente ci dirigiamo verso un baratro dal difficile ritorno.

L’idea di Microsoft (per ora solo un’idea) è un software che riprodurrebbe le parole ed il tono caratteristici di un individuo, basandosi su informazioni personali come “immagini, dati vocali, messaggi di social media, messaggi di posta elettronica e altre tracce lasciate sul web”.

Il chatbot, potrebbe anche corrispondere a se stessi, è l’utente ad addestrarlo. La stessa Microsoft ha anche menzionato la possibilità futura di creare dei modelli 2D e 3D con questi parametri.

È doveroso chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze etico-morali di una creazione del genere. Personalmente credo che tecnologia e IA non debbano mai sostituire le competenze e le capacità di un essere umano o ergersi a facili soluzioni di processi psicologici che, in realtà, richiedono competenza e studio, come dovrebbe avvenire in questo caso per il superamento del lutto.

Non è difficile immaginare che una mamma che abbia perso un figlio, o chiunque altro, possa cadere alla tentazione di istruire il chatbot per sopperire alla mancanza del proprio caro. Si potrebbe iniziare per gioco, dicendo a sé stessi: «Che male c’è, è solo una simulazione! Almeno potrò sentire di nuovo la sua voce».

Ed ecco che pian piano, considerando la complessità e “l’intelligenza” del software, ci si potrebbe ritrovare fino a tarda sera, a fissare un computer, godendo dell’effimera e falsa convinzione che ci si trovi di fronte al proprio caro estinto.

Ecco che, in poco tempo, un’ attività di questo tipo può trasformarsi in una vera e propria dipendenza, impendendo il naturale processo di superamento del lutto ed incastrando la persona in una ricerca continua del “contatto” con il proprio caro.

È altrettanto vero che in quegli attimi si può trovare conforto, ma quanto si deve essere equilibrati per non cedere? E dopo l’attimo di conforto, varrà poi il dolore del ritorno alla realtà in un continuo loop fantasia-relata? 

È un tema molto complesso da esaurire in poche righe e sicuramente non ha una risposta univoca. Il mio parere è che si debba essere molto cauti ed onestamente, ne sconsiglierei vivamente l’utilizzo. Ipotesi del genere non sono nuove, in Corea del Sud, è stato sperimentato un software che sfrutta la realtà virtuale ed i sensori tattili per “comunicare e poter riabbracciare” un proprio caro estinto. Ecco il video di questo esperimento, tra l’altro molto struggente.

Come siamo arrivati a tutto questo?

È intuibile come la morte, soprattutto in occidente, venga vista come un tabù. Spesso non se ne parla o si utilizzano parole differenti per “spiegarla” come: “è passato oltre” o “è passato a miglior vita”, etc. Termini che, in qualche modo, tendono ad esorcizzare l’evento stesso quasi negandone la realtà. Complice in parte la cultura occidentale, in parte le varie religioni, si tende a debellarne il pensiero finché non irrompe nella nostra vita e, di fatto, per quanto concerne la nostra cultura, non esiste una vera e propria educazione alla morte.

È comprensibile che quando accade ad un nostro caro l’evento ci cambia profondamente segnandoci inevitabilmente. Ma come si può pensare che un “chatbot” possa risolvere il problema?

Sicuramente entrano in gioco diversi aspetti ma, parlando prettamente del campo che mi compete, non mi stupisce più di tanto che qualcuno possa arrivare a definirla una possibile soluzione alla disperazione.

Da tempo, ad esempio, esistono facilitatori del lutto. Operatori olistici di accompagnamento senza alcuna qualifica che propongono vere e proprie sedute dove non si capisce bene cosa facciano (e con quale formazione soprattutto). Attenzione, non parlo di gruppi di supporto, di ascolto e di condivisione (che ben vengano), ma di veri e propri personaggi che, a pagamento, si propongono come “risolutori” di un problema che dovrebbe essere affrontato SOLO da chi ha studiato (non all’università della vita).

Riflettendoci, l’idea del “chatbot” del defunto non è molto distante dalla ricerca del contatto nell’odierna medianità, o comunque ne abbraccia alcune caratteristiche. Chi è nel lutto cerca conforto, alcuni medium dicono di parlare con i defunti senza fornire indicazioni precise o prove di identificazione. E qual è quindi la differenza tra chi si illude che un’IA possa trasformarsi nel caro estinto e tra chi crede ciecamente che quest’ultimo riesca a comunicare tramite un medium poco capace?

Non è sicuramente la stessa cosa, ma il rischio di abbandonarsi a vane speranze, come quello di incappare in una dipendenza da contatto è senza ombra di dubbio il medesimo.

Facciamo quindi attenzione, qualunque sia la ricerca di conforto, qualunque sia la figura(umana o artificiale) alla quale ci rivolgiamo, sarebbe sempre bene, prima di arrivare a soluzioni “diverse dall’ordinario”, farsi assistere da un professionista. 

 

Tanto per ricordare, a chi mi conosce, che sono io a scrivere l’articolo…mi sorge una domanda: il software per parlare con i propri cari, se mai si concretizzerà, sarà a pagamento?

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Daniele Cipriani

Author: Daniele Cipriani

Parapsicolo, da oltre 15 anni impegnato nella ricerca sul campo in tema di fenomeni paranormali e medianità. Ha fondato l'Associazione di ricerca scientifica Ghost Hunters Roma nel 2006. Relatore a numerosi convegni. Ha collaborato con diverse riviste, tra le quali Luce & Ombra e Karmanews. È autore di: “Fantasmi D'Italia” (2017) e “Fenomeni paranormali e medianità – Conoscerli e riconoscerli” (2020).